Domande e Risposte

Il coaching è un processo attraverso il quale una persona, il coach, attraverso l’ascolto e una metodologia di riferimento, supporta il coachee (cliente/allievo) nel percorso verso l’acquisizione di un maggiore grado di consapevolezza, o di fiducia in se stesso,  per migliorare la propria qualità della vita o o per raggiungere un certo obiettivo.

Il Visual Coach è un coach che utilizza un metodo particolare, caratterizzato da un approccio appunto “visuale”.  “Vedere” nel vero senso della parola le nostre idee ci aiuta a capirle meglio, a collocarle in un contesto, a riconoscerle e a familiarizzare con loro.
Il Visual Coach accompagna le persone utilizzando strumenti visuali come mappe e illustrazioni, visualizzazioni di ciò che si dice durante gli incontri. Finita la sessione il disegno rimane ed è un modo per rivedere quello che è successo, vedere le parole che ci si è scambiati e le idee che sono emerse. È un modo per scoprire qualcosa che si è detto in modo inconsapevole e  costruire un percorso che può essere rivisitato e rielaborato.

Il Visual Coach è di aiuto quando ci si trova in uno stato così d’insoddisfazione, di noia, quando si sente che qualcosa non va anche se non si sa bene cosa. Il lavoro con il Visual Coach aiuta a vedere quello che si è, quello che si è maturato, quello che si è fatto attraverso diversi punti di vista. Questo vedere attraverso diversi punti di vista, allontanandosi un po’ da ciò che vediamo ogni giorno,  è di grande aiuto nel crearsi una prospettiva diversa, nel vedere che il mondo è più grande di ciò su cui abitualmente ci si concentra.

Il linguaggio visuale è un modo per amplificare le parole. Affidandoci esclusivamente al linguaggio verbale che si usa quotidianamente, siamo portati a dare per scontato che sia comprensibile a tutti nel modo in cui viene inteso da noi stessi. Il linguaggio visuale invece lo amplifica. Disegnandola, il coach non rappresenta solo la parola in sé , ma anche tutto il vissuto connesso a quella parola, all’interno della cultura a cui di appartenenza, la arricchisce di oggetti e di  concetti astratti. Il disegno aumenta quindi il significato e ne organizza gli elementi gli elementi nello spazio. Va a rappresentare qualche cosa che non è lineare e che quindi parla con diverse parti nel nostro cervello.

Abbiamo bisogno di essere più gentili con noi stessi e di trattarci almeno come trattiamo il nostro migliore amico. Con la stessa compassione, che non è un sentimento negativo ma un essere vicini, un venirsi incontro, non delegittimarsi, non criticarsi più del dovuto. Essere gentili con se stessi è un modo per aprirsi ai propri limiti e alle imperfezioni, parti importanti di noi stessi che non devono essere cancellati o soppressi. La gentilezza con noi stessi è auto compassione, non è autocommiserazione. È un’apertura, un modo per potenziarsi, per trovare un sacco di motivazioni e anche di energia.

Ti rivolgi al coach quando senti di aver bisogno di una mano, perché ti trovi bloccato in una situazione e non riesci a venirne fuori, oppure non sai cosa vuoi e ti senti insoddisfatto, o ancora perché desideri qualcosa ma non credi di avere la capacità di poterla ottenere. Dunque non perché hai una sofferenza psicologica o un trauma complesso, per questo è necessario chiedere l’aiuto di uno psicologo, ma perché senti di aver bisogno di una guida o più semplicemente di qualcuno che ti aiuti a fare chiarezza.

Dentro di noi ci sono sicuramente tutte le risorse necessarie per sbloccare uno stato di confusione, o di stallo, o per intraprendere un cambiamento, e tuttavia un persona che ci guidi in questo percorso può essere determinante. Sia per non arrendersi, sia per accelerare il processo.

Anche un amico può svolgere questo ruolo, ma il più delle volte i vissuti comuni o le opinioni consolidate che si hanno, l’uno dell’altro, possono diventare un ostacolo. Il coach inoltre ha già fatto questo lavoro su di sé, guidato a sua volta da un altro coach, e quindi può fare da guida con la sua esperienza e con la consapevolezza che si è guadagnato nel proprio percorso.

ll coach non è uno psicologo (non necessariamente). È una persona che si è formata per accompagnare l’altro nel suo cammino, verso la consapevolezza e quindi verso un cambiamento continuativo che fa stare bene.

Per spiegare il mio lavoro a chi non lo conosce uso spesso la metafora della carrozza, da cui deriva il nome di questa professione (la parola coach ha origine dal termine francese coche, carrozza o cocchio). Il coach, come una carrozza ti porta e ti facilita il percorso. In carrozza viaggi comodo e in sicurezza, vai anche più veloce che a piedi e ti stanchi di meno. Si tratta comunque di un viaggio che prende del tempo, non privo di qualche scombussolamento, e soprattutto la carrozza ti porta ma non decide per te. 

La formazione di un coach non è univoca, esistono vari approcci e metodi. Nel mio caso, ho una formazione di base di tipo umanistico, dal liceo agli studi universitari. I miei studi sono continuati nell’ambito della formazione degli adulti, e della facilitazione esperta, fino alla certificazione come Visual Coach. Considero parte integrante della mia formazione personale anche tutte le conoscenze e le capacità che ho acquisito durante la mia attività di imprenditore, che mi ha portato in più di vent’anni di attività a vivere e gestire relazioni, innovazioni e situazioni complesse.

Il rapporto tra coach e coachee (il cliente, o allievo che dir si voglia) è fortemente basato sul rispetto e sulla fiducia. Pur non avendo nulla a che fare con la terapia, è comunque caratterizzato da riservatezza e prima di intraprendere un percorso insieme è necessario conoscersi e sentirsi reciprocamente a proprio agio.

Non è il caso dunque di prendere un impegno prima di conoscere il tuo coach, per questo suggerisco sempre alle persone che mi contattano per la prima volta un incontro conoscitivo, gratuito e senza impegno, che permette di capire se e che cosa fare insieme.

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Percorso creativo e autocompassione

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