A me gli occhi

Questo testo è tratto dall’abstract dell’articolo Psychophysiological responses to eye contact in a live interaction and in video call (Jonne O. Hietanen | Mikko J. Peltola | Jari K. Hietanen), pubblicato il 23 marzo 2020 nella rivista scientifica Psychophysiology.

Ne sono venuta a conoscenza durante il corso di Deb Dana, il Polyvagal Informed Therapy Masterclass che ho frequentato un paio di anni fa. Il corso era online, e uno dei temi che saltò fuori abbastanza presto fu proprio il valore, l’efficacia delle videochiamate nell’attività di ascolto, coaching o terapia.

Per operatori abituati ad accogliere i clienti nel proprio studio, e a instaurare con queste persone una comunicazione verbale e non verbale in presenza, il passaggio (obbligato causa Covid) alla videochiamata a distanza sembrava distruttivo a dir poco.

Quello che è emerso, e che è anche supportato dall’articolo, è che sì, l’incontro in presenza comporta uno scambio di informazioni decisamente più ampio, ma che la presenza dell’altra persona non è necessaria per la risposta autonomica, e che l’effetto additivo della presenza fisica è piccolo o inesistente.

La risposta autonomica si riferisce all’attività del sistema nervoso autonomo, ed è costituita da una serie di reazioni fisiologiche del tutto prive di intenzionalità e controllo da parte della nostra mente cosciente. Sono risposte corporee che semplicemente accadono e che non possiamo controllare, possiamo solo imparare a riconoscerle.
Il sistema nervoso autonomo raccoglie continuamente segnali di sicurezza e di pericolo nell’ambiente esterno (contesto), interno (il nostro corpo) e relazionale (interazione sociale) e in base a questo continuo “detect” determina lo stato fisiologico in cui ci troviamo e informa il cervello sulle risposte automatiche da attivare per preservare il nostro stare in vita, che è del resto il compito principale del nostro sistema nervoso.

La risposta autonomica sta alla base del nostro comportamento. Non lo determina in modo assoluto, però influisce sulla nostra percezione dell’evento che ci vede protagonisti. In pratica, tra stimolo e risposta interviene questa variabile che è il nostro stato fisiologico. E visto che la percezione dell’evento è molto più determinante dell’evento stesso nel produrre comportamenti, anche le storie che ci raccontiamo cambiano a seconda dello stato fisiologico in cui ci troviamo.

Insomma, parte tutto da lì, dalla neurocezione, la scansione che il nostro corpo fa continuamente per rilevare segnali di sicurezza e pericolo. Per vivere al meglio abbiamo bisogno di stare in uno stato di sicurezza e comfort, almeno ogni tanto: è lo stato a cui ambiamo perché quando ci sentiamo abbastanza sicuri allora riusciamo a prenderci cura di noi stessi, siamo capaci di ragionare e di relazionarci con gli altri.

Come mammiferi e umani, la relazione sociale è per noi un imperativo biologico. Abbiamo bisogno degli altri per crescere, per curarci, per sopravvivere. Siamo dotati di un sistema di coinvolgimento sociale che sa leggere e inviare segnali di sicurezza, un sistema che gestisce ad esempio la mimica facciale, lo sguardo, il tono della voce, e che ci permette di trovare rassicurazione nello sguardo degli altri.

Questo sistema di comunicazione così potente parla perfettamente in videochiamata, e lo fa in modo automatico, immediato, al di là della nostra coscienza e volontà.
Quindi, anche in videochiamata, guardarsi negli occhi è fondamentale, e qui scatta la richiesta perentoria: la videocamera deve essere posizionata in corrispondenza dello schermo, basta con queste videochiamate di profilo. Ci si guarda negli occhi!!!

Ok, lo capisco. Anche io all’inizio facevo fatica e mi sembrava una presa in giro. Diciamo pure che qualche mese di videochiamate obbligatorie hanno fatto sì che la percezione cambiasse sostanzialmente.

L’abitudine, l’allenamento a situazioni nuove e diverse, fa sì che incominciamo gradualmente a sentire come naturale qualcosa che decisamente non lo è. Non è una brutta notizia, è che abbiamo un cervello plastico, adattabile, che vuole a tutti i costi dare un senso alle informazioni che gli arrivano. Se guardando una persona in videochiamata ci sentiamo visti e abbiamo la percezione di ricambiare lo sguardo, è perché abbiamo imparato a farlo, a dare un senso di “sguardo”, a riconoscerlo come tale.

È un processo di adattamento che abbiamo già vissuto in tante altre occasioni. Ad esempio con l’uso del mouse.
Per quanto ora sembri banale, non è naturale il fatto di muovere una mano e nel frattempo di vedere azioni in corso su un monitor. All’inizio, sembrano secoli fa, c’era chi si guardava la mano per capire dove mandare il cursore, c’era chi il cursore lo perdeva proprio. La gestione del mouse è un’abilità che abbiamo acquisito con la pratica, e ora consideriamo scontato far succedere qualcosa su un monitor scivolando qua e là con la mano sulla scrivania.

Andando indietro nel tempo, e ben prima del Dolby Surround delle sale moderne, l’umanità si è abituata a collegare la visione di figure bidimensionali sullo schermo del cinema con i dialoghi trasmessi da altoparlanti collocati dietro o tutt’al più ai lati dello schermo.
Le voci arrivavano da varie parti e non di certo dalle bocche degli attori, un’incongruenza tra verbo e visione che molti lamentavano, compreso Pirandello, rimpiangendo il cinema muto:

Per me non è solo una questione di adattamento. Vedo negli appuntamenti in videochiamata molti punti di vantaggio e per questo prediligo gli incontri a distanza.

Ecco alcuni considerevoli plus, che compensano e superano alla grande la mancanza di presenza e contatto fisico:

  • Concordiamo gli orari evitando spostamenti e incastri vari. Ci vediamo anche in condizioni meteo avverse e in caso di indisposizione a uscire di casa: niente appuntamenti annullati e ritardi.
  • Sei a casa tua o nel luogo in cui tu ti senti a tuo agio. per quanto arredato in modo accurato, lo studio di un professionista riflette la sua idea di comfort e non è detto che sia la tua. Inoltre, dopo l’appuntamento sei già dove vuoi essere e il lavoro fatto rimane nel tuo spazio vitale a farti compagnia ancora per un po’.
  • Ti vesti come vuoi. Non c’è un dress code per gli appuntamenti e sei a tuo agio anche con i vestiti che preferisci e che magari non puoi usare fuori casa. Trucco e parrucco a piacere, come ti fa stare meglio e non come dovresti farlo se esci in pubblico.
  • Puoi prendere un appuntamento con me anche se ci troviamo a grandi distanze, non devi per forza raggiungermi fisicamente.

È una lezione che imparato nella mia vita, caratterizzata da spostamenti continui e frequenti separazioni temporanee. La tecnologia mi ha permesso di vivere meglio e di scoprire modi nuovi per connettersi e comunicare, per attivare una risposta positiva dal mio corpo e sentirmi sicura, vicina, coinvolta con gli altri. Meglio di così…


Referenze per i contenuti su cinema e sonoro:
– Paola Valentini, Il suono nel cinema https://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=2931
– Stefania Carpiceci, Le ombre cantano e parlano. Il passaggio dal muto al sonoro nel cinema italiano attraverso i periodici d’epoca (1927-1932), Casa Editrice Artdigiland, citato nel blog https://www.leparoleelecose.it/?p=14431

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER !

Non invio spam! Leggi la Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Torna in alto