Periodo dedicato alla formazione, al centro dei miei pensieri.
Anche al centro delle mie finanze, visto l’investimento annuo che faccio in formazione e aggiornamento… un regalo che mi faccio, un modo per volermi bene.
A parte questo impegno personale nello studio… formazione al centro anche perché sta per concludersi il mio incarico di consigliere regionale AIF, Associazione Italiana Formatori.
Ci siamo dati il soprannome di Direttivo di frontiera in questi ultimi anni, perché era volontà comune di esplorare territori inesplorati della formazione, visitare anche forme non canoniche e aprirsi a qualcosa che forse non è formazione nel senso più tradizionale del termine… ma in fondo che che cosa è rimasto qualcosa nel senso tradizionale del termine, in mondo sempre più volatile, incerto, complesso e ambiguo?
V.U.C.A. è l’acronimo con cui abbiamo iniziato questa esplorazione, o almeno io me lo ricordo così. Un momento in cui questa sigla mutuata dagli scenari di guerra è diventata efficace nel raccontare la dimensione quotidiana di ognuno di noi e di ogni organizzazione. Velocità nel cambiamento, impossibilità di conoscere tutto ciò che è necessario e necessità di collaborare, stringere alleanze e reti di conoscenza. L’esperienza non è più sufficiente in un mondo che è oltre che complicato. Fenomeni emergenti e interconnessi mal si conciliano con spiegazioni lineari.
Le relazioni giocano un ruolo fondamentale per essere aggiornati, per conoscere, per avere molteplici punti di vista, per vivere una complessità che non si combatte, anzi, la complessità si abbraccia, come dice Marinella De Simone, Presidente del Complexity Institute e studiosa di complessità. Un’immagine, questa dell’abbraccio, che mi piace molto perché parla di apertura e di azione.
Formazione di frontiera, quindi, in cui il confine c’è ma non impedisce lo scambio, segna solo una pertinenza formale.
Un po’ come la targa a Gorizia-Nova Gorica, nella Piazza divisa tra Italia e Slovenia e chiamata in modo diverso nelle due nazioni: Piazza della Transalpina e Trg Evrope rispettivamente.
Una targa che ti dice, di qua sei in un posto, di là sei in un altro, ma lo sai solo lì, perché non ci sono altri confini intorno e puoi stare in molti punti della stessa Piazza senza sapere esattamente se sei in Italia o in Slovenia.
Mi piacciono questi luoghi ambigui, che hanno perso un’identità certa e dicono tanta più roba di un muro divisorio.
Mi sento a mio agio in questa ambiguità, in questo essere una bozza vivente.
Mi sono avvicinata al mondo della formazione perché sentivo che lì c’era il mio fil rouge, quel filo di connessione che dà un senso logico alle esperienze di una vita.
Non “il” senso logico, semplicemente quello che vedo adesso, e come tale assume significato. Mi piace talmente tanto che ne ho fatto una mappa e da quella mappa sta venendo un libro… tempo al tempo, un sacco di lavoro da fare, bellissimo.
Vedo ancora quel fil rouge, anche nella mia formazione da facilitatrice e coach, nel mio continuare a formarmi e a conoscere e a praticare curiosità a pioggia.
La mia stessa attività di coach ha molto a che fare con la formazione, almeno io la vedo così, legata all’attivare, rendere possibile, facilitare, mettere in grado di… in inglese lo chiamerei enabling. Ascolto, curiosità, scoperta… questo quello che offro, non soluzioni generiche ma conoscenza del tuo corpo nella sua unicità, perché per me parte tutto da lì, dal venirti incontro dove sei.
Lo chiarisco anche nel patto di collaborazione che faccio con le persone che desiderano lavorare con me: sono un’esperta di processo, non un’esperta di risposte. Non ti consiglierò o fornirò indicazioni su ciò che dovresti o non dovresti fare né fornirò alcuna diagnosi. Il nostro lavoro insieme non è una terapia e io non sono una terapista. Se vuoi analizzare il tuo passato non sono la persona giusta, a me interessa il tuo qui-e-ora e il futuro che stai già preparando.
Formatrice e coach, come la targa nella foto.