Scegliere il cambiamento o scegliere la continuità?
Pensieri in libertà sul tema della scelta personale.
A volte è di prima mattina che mi vengono i pensieri più contorti. In particolare mentre aspetto di bere il caffè.
Allora li fisso con qualche nota a mano perché mi piace perdermi in riflessioni che si dipanano pigramente, e mi piace anche ricordarne il filo, spesso privo di una logica particolare.
Il tema della scelta personale mi è caro e mi capita molto spesso di dedicarci tempo ed energie… da sola o con chi accompagno nei percorsi personali di visual coaching.
Quanto di quello che ci succede è frutto della nostra scelta?
Tutto? Parecchio? Poco o niente?
Forse la domanda è un’altra: quanto ti senti protagonista della tua vita?
Anche quando non ti sembra di avere scelto nulla, se ci pensi meglio… hai preso delle decisioni.
Ad esempio, hai scelto di rimanere all’interno di un sistema consolidato, di rimanere al sicuro, con ampie garanzie di sopravvivenza e salute personale. Rimanere nella casa, nel territorio dove si è nati, circondati da un buon numero di persone che condividono con te cultura, abitudini, convinzioni (e fisime)… tutto questo ti può parlare di sicurezza perché ricevi conferme su quello che sei e non devi mettere in discussione troppa roba.
Non andarsene, rimanere nei luoghi famigliari.
Non c’è nulla di male nello scegliere la sopravvivenza: siamo il nostro corpo, e il rischio di cambiare città, nazione, continente può essere paralizzante.
È un problema di forza di volontà? Di mancanza di carattere?
NO. Non è una questione di volontà, non nei termini che abbiamo forse imparato in famiglia.
E che ancora girano per i social al grido di “Se vuoi puoi”. Slogan che funziona, perché a vendere consulenza sul senso di colpa si fa presto. Peccato che si facciano anche dei danni enormi.
La realtà è invece che se il nostro corpo non ci supporta – in certe situazioni che legge come pericolose – non c’è verso di fargli cambiare idea.
Possiamo forzarlo, nel breve periodo può funzionare. Ma alla lunga vince lui… ti manda dei segnali e se non lo ascolti inizia a urlare.
E tu pensi che ti boicotti, in realtà ti sta avvisando che così non va… non va bene per niente.
Fare scelte vuol dire fare cambiamenti drastici?
La scelta non è per forza un cambiamento. Anche quando evitiamo un cambiamento, esercitiamo comunque una opzione.
E va bene, l’importante è riconoscerlo. Penso che la maturità di una persona si riveli in questa consapevolezza di essere un essere “decisore”, in modo più o meno razionale.
Il problema sorge quando, da adulti, vediamo nelle altre persone la matrice che determina la nostra vita. E viviamo incolpando gli altri e il mondo intero di avercela con noi, di impedirci di essere felici e realizzati.
Essere adulti significa fare i conti con il fatto che sei il frutto delle tue scelte.
Scelte che hanno funzionato, perché ti hanno permesso di sopravvivere, e hanno fatto di te la persona che sei.
Con queste scelte vale la pena di fare amicizia, perché sono parte di te e non te ne puoi liberare.
Cultura di origine: nido o zavorra?
Se da un lato la cultura di origine è una vera e propria zavorra – e può rappresentare un peso insostenibile –, dall’altro è anche un comodo nido tenuto insieme da conferme quotidiane.
Nella cultura di origine trovi intorno a te la conferma che stare dove stai è la cosa giusta da fare, che è l’unico modo per stare bene, per avere quello che vuoi, per essere al sicuro: tra persone simili, che mangiano, si vestono e si comportano un po’ come te e ti confermano con la loro presenza che lì dove stai si può crescere, fare famiglia e invecchiare.
Non vedi altre possibilità e quindi difficile che tu le possa prendere in considerazione, perché non ti vedi altrove.
Come dire: ti vedi dove sei, e poi ci sono altri posti ma non ti vedi là.
Magari hai sogni e vagheggi un mondo diverso, ma non ti vedi davvero vivere una quotidianità altrove e allora quell’altrove diventa denso di dubbi, incognite e pericoli. Qui sai chi sei… altrove, chi sarai?
È così in fondo che una comunità tende a ad auto-conservarsi, no?
Con la convinzione che “da noi si sta bene”, ci sono certi valori e abitudini che vivono e funzionano da sempre.
Chi resta – e ancora di più chi va via per un periodo e poi torna a casa – è per tutti gli altri la conferma vivente che qui si sta bene e che insomma non è necessario andare a cercar rogne da altre parti.
Chi resta lontano esce dal controllo e un po’ inizia a sentirla la distanza, anche quando capita di tornare per brevi periodi.
È una sensazione di distanza strana: desiderata e al tempo stesso fonte di grande disagio se stai ancora scappando.
Oppure è benvenuta e rassicurante se la tua quotidianità e la tua sicurezza sono altrove e tu sai che la tua vita non è qui. Come se tu fossi un turista, non cerchi approvazione, può darsi che non l’avresti comunque ricevuta. È una tua scelta e il giudizio altrui non ti riguarda.
Paura e cambiamento
Mi ritorna in mente il libro di Daniel Blumstein, Paura. Lezioni di sopravvivenza dalla natura selvaggia (Raffaello Cortina Editore) e i suoi studi sulla marmotta americana.
Partendo dal presupposto che la paura ha una forte componente di autoconservazione, l’autore studia il comportamento degli animali in uscita dalla tana. Perché la tana è sicura, ma se non esci dalla tana non mangi, non sopravvivi. Quindi? Restare o uscire? Non è questione di ignorare i segnali di pericolo, ma di fare scelte costo-beneficio, trovando un bilanciamento tra il correre dei rischi e il restare al sicuro.
Ecco, il punto per me è quello. Dove sperimenti almeno un po’ di sicurezza, là vai.
Per alcuni la sicurezza è nella tana, per altri è ovunque tranne che nella tana. Finché non sai se c’è qualcosa fuori dalla tana, rimani nella tana perché fuori… Boh. E se muoio?
Costo-beneficio.
Non esiste un comportamento giusto, esiste la risposta fisiologica personale da ascoltare e seguire.
Se il bisogno fisiologico di sicurezza, di approvazione e di appartenenza sociale sono allineati con quello che sei, e ti senti a tuo agio, ottimo. Se, viceversa, vanno a scapito della tua autenticità… forse è il momento di venirti incontro, ovunque sei… per iniziare a vedere dove andare.




