TEMPO ! … Bisogna averne tanto, anzi, parecchio!
Mi è capitato di perdermi, non poche volte. Non in senso figurato, proprio persa, nelle grandi città, ad esempio, in giro per l’Italia e nel mondo. In tempi privi di smartphone geolocalizzati, non avessi avuto sempre con me una mappa sarei ancora persa da qualche parte.
Da bambina, giravo in bicicletta e mi perdevo apposta, prendendo strade che non conoscevo.
A volte mi allontanavo troppo e tornavo tardi a casa. Mi perdevo da sola, e non ricordo di aver avuto paura del perdermi in sé, certo un po’ d’ansia, bastava fermarsi e ritrovare un punto di riferimento, fare un po’ di metri e trovarne un altro, e via così fino a riconoscere il contesto e non avere più dubbi.
Se avevo tempo, non mi interessava fare strada in più. Se il tempo era dalla mia parte, era solo una questione di tempo per ritrovare una strada familiare.
Mi sono anche persa nei boschi ma sempre in compagnia, perché semplicemente in un bosco da sola non mi addentro proprio. Trauma dettato da Cappuccetto Rosso, o da Blair Witch Project (… Josh!), o semplicemente dal fatto che il bosco è un posto in cui ci si perde davvero.
In compagnia, e con un bel po’ di ore di luce davanti (anche qui, il tempo è protagonista), non ho problemi a girare a vuoto, a imbattermi in vicoli ciechi, ad avvilupparmi nei rovi, a scivolare e arrampicarmi… tutto buono.
Per un po’.
L’ultima volta ho salutato un campo di ulivi come fosse un’oasi nel deserto: se ci sono ulivi, per quanto non curati recentemente, in un qualche momento lì c’è arrivato un trattore, una carriola, ci sarà un sentiero, per quanto sgangherato.
Sempre quest’ultima volta, tornata a casa mi è capitato di leggere una recensione al libro Capacità negativa di Giovan Francesco Lanzara. Mi sono imbattuta casualmente in questa recensione, l’ho ricevuta via mail, non so di chi sia, metto il link al documento come credito. E mi è tornata subito alla mente la sensazione di sollievo nel rivedere un indizio di sentiero, un segnale di sicurezza.
Il sentiero che seguiamo per attraversare il bosco è la routine cui siamo abituati, i ripetuti cammini che hanno avuto successo e che ci permettono di raggiungere efficacemente ed economizzando tempo l’obiettivo di uscire dal bosco. Ma se per un evento imprevisto non possiamo più contare sulla direzione e la traccia del sentiero e ci troviamo quindi smarriti, ecco che siamo costretti a sperimentare nuove azioni, decifrando ed organizzando i materiali offerti dal ‘contesto bosco’: alberi, aperture, passaggi, pendenze. È esplorando e ricercando che produciamo il sentiero: solo la disponibilità e la capacità di riposizionarci rispetto al bosco accettandolo come risorsa, fonte di informazioni, luogo di sperimentazioni ci permetterà di raggiungere la nostra meta.
Ecco, leggendo questi paragrafi mi è venuto in mente quando nel bosco ero appunto fuori dal sentiero, e facendo cauti passi su arbusti e piante erbacee varie, mi chiedevo se mi avrebbero sostenuta o nascondevano un fosso in cui sarei sprofondata. O se sarei finita nella tana di una famiglia di cinghiali di cui avevo apprezzato le numerose tracce. E tutto quello che volevo era un sentiero battuto, ché quello disegnato dalla mandria di cinghiali era utile ma, appunto, adatto ai cinghiali, non a un bipede alto un metro e settanta.
Trovo molto materiale sul web dedicato al “lasciare il sentiero battuto” e mi sento combattuta perché, sì, è bello darsi la possibilità di farlo, desiderarlo, vederlo. E buttarsi nella macchia. Con il rischio di farsi male, di non uscirne bene, di convincersi che cambiare non fa per te, lo sapevi che non ne sei capace, che cosa cambi a fare, e adesso che cosa pensano di me gli altri, mi sono pure infangata.
Esplorare, aprirsi al cambiamento, è per me mettersi alla prova sentendosi fisicamente sicuri. Non è buttarsi nel pericolo, nell’ignoto, senza punti di riferimento, convincendosi che si fa tutto, basta volerlo. Non è una fuga senza se e senza ma. Sono piuttosto delle incursioni, delle piccole azioni, sapendo da dove parti, perché se non sai dove sei, non vai da nessuna parte.
Penso che sentirsi abbastanza sicuri (che non coincide con l’essere sicuri) sia un aspetto imprescindibile in ogni impresa. La percezione della sicurezza non solo rende possibile il coinvolgimento sociale ma ci consente anche di essere creativi e produttivi. Se viceversa siamo bloccati in stati adattivi di sopravvivenza, in preda alla rabbia, all’ansia o distrutti, inermi, non siamo in grado di usare quel po’ di razionalità che abbiamo, né il nostro potenziale.
Sentiero sicuro o macchia inesplorata? Non la vedo come una scelta tra opposti e sono piuttosto convinta che ognuno di noi stia sia nel sentiero battuto, sia nella macchia, in un continuum irrisolto di scelte che durano tutta la vita. Piccole scelte che, se fatte in uno stato regolato e consapevole, senza spreco di energia e senza stress, ci fanno trovare un senso, essere curiosi e goderci il viaggio, affrontando volta per volta gli inevitabili imprevisti.
La Negative Capability è la capacità di “essere” nell’incertezza, di farsi avvolgere dal mistero, di rendersi vulnerabili al dubbio, restando impassibili di fronte all’assenza o alla perdita di senso, senza voler a tutti i costi e rapidamente pervenire a fatti o a motivi certi.
(Giovan Francesco Lanzara)