In realtà siamo esseri naturalmente performanti
È DIFFICILE PARLARE DI PERFORMANCE.
Davvero.
Il rischio è quello di finire a difendere posizioni di pensiero opposte, in cui non mi riconosco.
Ne ho parlato su LinkedIn, social network in cui mi sento a mio agio nel condividere qualche pensiero e anche qualche foto, pescando tra quelle che ho fatto nel tempo.
Cercando un’immagine che mi parlasse di performance, non la trovavo.
Ne ho di performance artistiche, però così, fuori contesto, mi sono sembrate davvero angoscianti. Ne ho di performance sportive, lavorative… non mi convincevano. Poi ho visto questa foto. L’ho scattata a Tokyo, durante una gita sul battello fluviale. Faceva poco freddo, nonostante fosse inverno, e mi sono seduta vicino a una signora con due bambini. Abbiamo anche comunicato, non mi ricordo bene come… La bimba si godeva il viaggio guardando, immobile, la città che scorreva lenta. Quando abbiamo raggiunto la baia ha chiuso gli occhi e stava così, con le mani tese, in ascolto.
Questa foto mi parla di performance.
Stare nel momento, facendo tutto quello che ti permette di ottenere soddisfazione, risultato, conoscenza. Dopotutto, che cosa puoi fare di più significativo mentre sei trasportato a velocità di lumaca in un battello?
Performance è anche esporsi al giudizio. Che si tratti di una esibizione o di una competizione (il termine copre un ampio spettro), c’è sempre qualcuno che giudica quello che fai, e anche quello che non fai. A volte sei proprio tu il tuo giudice impietoso perché riusciamo davvero a trattarci come fossimo il nostro peggiore nemico…
Come si misura la performance?
Parlo di performance della persona, è la persona che mi interessa, sei tu che leggi e magari ti preoccupi delle tua, di performance.
Puoi chiedere un feedback a qualcuno di tua fiducia. Chiedilo quando sei in una situazione di serenità, perché la risposta non è detto sia facile da accogliere.
Chiedilo a te stesso: come sta il tuo corpo, che cosa ti ha detto nel mentre?
Il metro di giudizio della performance è relativo a quanto tu come persona puoi dare, non ad un obiettivo di risultato in cui ci sono variabili che non controlli e non puoi controllare. Puoi fare un’ottima performance e comunque perdere una gara, ad esempio.
Performance per me è mettersi in gioco, con allenamento ed esperienza alle spalle e una buona dose di leggerezza per rimanere flessibile e pronta all’imprevisto. Esperienza e allenamento sono per me parole chiave.
Esperienza come conoscenza e anche come consapevolezza che a certe prove si sopravvive, il che a volte è la base per stabilire una percezione di sicurezza, per trovare segnali di sicurezza dentro di te, nell’ambiente esterno e in quello relazionale, segnali che mi permettono di rimanere focalizzata, coinvolta e aperta all’interazione con le altre persone.
Allenamento perché non si smette mai di imparare e di esercitarsi, per applicare sul campo quello che hai fatto tuo nelle prove, nella pratica quotidiana, nella formazione continua.
Come gestire la performance?
Il sentirsi sotto esame, valutati e a rischio può stimolare ma anche abbattere la performance. Dipende dallo stato fisiologico in cui siamo.
Gli approcci tradizionali alla gestione della performance applicano strategie dall’alto verso il basso per gestire l’ansia da prestazione, sollecitando un potere di controllo della mente su se stessa e sul corpo. Questi approcci, che si basano sul pensiero positivo a tutti i costi, sulla spinta a volte neanche tanto gentile, e sulla motivazione forte, possono funzionare, certo. Funzionano più facilmente nel breve periodo, quando ad esempio la carica motivazionale è fresca, o la spinta del consulente è recente. Non rispettano però la nostra neurofisiologia, la matrice biologica che genera ansia come risposta adattiva alla pressione.
Quando subiamo troppo la pressione che ci viene ad esempio dal mondo del lavoro o dalle relazioni, reagiamo anche, e molto spesso, bloccandoci, spegnendoci, incapaci di reagire. La reazione degli altri e soprattutto il giudizio che diamo di noi stessi quando siamo incapaci a reagire è che siamo deboli, che non siamo abbastanza bravi, che ci stiamo arrendendo.
Possiamo anche arrivare a pensare che visto che non reagiamo, allora in fondo ci va bene così.
No, non funziona così.
È che il nostro corpo non è nello stato di supportarci e di far coincidere la nostra esecuzione con le nostre intenzioni.
Per quanto la tua testa urli al corpo, per quanto ti sforzi, non ce la fai ad agire come vorresti, non ti senti credibile e non lo sei agli occhi degli altri. Quello che raccogli come feedback esterno ed interno è la conferma che facevi meglio a non provarci neppure.
Il fatto è che se non mi sento abbastanza sicura, non sono in grado di andare da nessuna parte.
La sicurezza che mi viene comunicata dalle persone che mi circondano mi può aiutare, ma sarà solo quando il mio corpo si sentirà davvero sicuro che riuscirò a sentirmi capace, lucida, veramente me.
E questa è una buona notizia, perché, con i tuoi modi e i tuoi ritmi, il tuo corpo è predisposto a imparare e ad allenarsi, mettendoci un po’ di impegno quotidiano ma senza fare fatica. Ascoltare il proprio corpo è il primo passo, allenarsi a recuperare i segnali di sicurezza che tranquillizzano il cervello, pure. Si fa un po’ alla volta, l’effetto si nota anche subito, e via via si rafforza nel tempo con la pratica.
Se questo approccio ti incuriosisce e ti interessa, scrivimi all’indirizzo [email protected], ne parliamo tu e io in video chiamata.
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