cercare l'equilibrio a volte è come camminare sulla sabbia del deserto

Quando l’equilibrio vacilla

A volte basta una piccola cosa per scoprire che l’equilibrio non è mai scontato.
Un inciampo, un fastidio, un disagio che ti costringe a rallentare.
Da lì, spesso, parte una riflessione più ampia — su come stiamo, dentro e fuori di noi.

Un piccolo incidente

Prendo spunto da un piccolo incidente personale: nulla di grave, una banale storta alla caviglia.
È successa durante una passeggiata qualunque in mezzo al paese, niente di esotico o sfidante.

Però la banale storta non è passata velocemente, e la mia caviglia ha avuto qualcosa da dirmi per parecchie settimane.
Ancora adesso, ogni tanto, insieme al resto della gamba.

E ho pensato all’importanza dell’equilibrio, o meglio, della sua mancanza. Nel caso specifico, era una sensazione fisica con cui mi barcamenavo per casa, ma che ha aperto a qualcosa di più.

Quando manca l’equilibrio

La mancanza di equilibrio è una sensazione spiacevole.
La paura di cadere, l’instabilità, non richiamano immagini di sicurezza.

E cosa succede se guardiamo questa sensazione non solo nel piccolo mondo interiore — la caviglia — ma anche nel mondo esterno e relazionale?

Questo indagare i vari punti di vista di una sensazione è un esercizio che faccio spesso da quando mi sono avvicinata all’approccio polivagale, che mette al centro ogni persona come corpo, ambiente e relazione sociale insieme.


Corpo, mente e la storia che ci raccontiamo

In poche parole — ma il discorso è lungo e affascinante: se non mi sento a mio agio, se sono in ansia, stress o rabbia, mi trovo in uno stato fisiologico ben preciso.

Questo stato nasce da come il mio sistema nervoso autonomo legge i segnali di pericolo provenienti dal corpo, dall’ambiente e dalle relazioni.

È una lettura non consapevole, il primo passo di una catena di informazioni corpo-mente che spesso culmina con la storia che ci raccontiamo — quella spiegazione logico-razionale che ci diamo di ciò che stiamo vivendo. Spiegazione che, a ben vedere, tanto logica non è.
È coerente con le nostre convinzioni, e per questo ci sembra subito vera, tanto che ci teniamo a venderla agli altri.


Cercare equilibrio, dentro e fuori

Torniamo all’equilibrio, o meglio alla sua mancanza.
Cosa mi parla di equilibrio, e cosa no?
Che cosa posso fare per stare meglio — nel corpo, nel mondo esterno e nelle relazioni?

Se la mancanza di equilibrio nasce da una gamba claudicante, posso occuparmi della parte offesa, confidando nella sua capacità di guarire.
E allora applico tutte le formule chimiche ed esoteriche possibili — spesso tutte insieme, perché a casa mia funziona così — per sentire anche solo un accenno di sollievo. Ogni giorno un po’ di più.

E fuori da me?
Dove sento mancanza di equilibrio?

Che cosa posso fare per ristabilire una specie di bilanciamento confortevole?

L’equilibrio nel mondo

Nel mondo esterno, oggi, sulla mancanza di equilibrio non c’è molto altro da dire. A me sembra di essere sbattuta di qua e di là da eventi estremi, contrastanti, assenti. Manca equilibrio, manca scambio di pesi, non c’è misura.

Posso cambiare la situazione? Onestamente, no. Posso però fare qualcosa per stare meglio, per sentire che sto facendo la mia parte? Certo.
E lo faccio. Ognuno fa il suo gioco, che ci piaccia o meno.

L’equilibrio nelle relazioni

E nelle relazioni? Penso all’appartenenza a gruppi, associazioni, progetti.
Ho attivato collaborazioni e fatto networking — si dice così — e non è una cosa brutta: significa anche uscire dalla propria bolla, cercare sintonia, divertirsi in occasioni sociali.

Ma che cosa posso fare quando sento di appartenere a tante cose, ma di non sentirmene parte?

In mio aiuto viene Gabor Maté, una persona straordinaria di cui sto seguendo una serie di webinar.
Mi ha illuminato due anni fa, quando ho scoperto la tensione che esiste in ognuno di noi tra autenticità e appartenenza.


Autenticità e appartenenza

È una tensione viva e forte nell’adulto, che porta a scelte — consapevoli o no.
A livello sociale, molto si gioca qui: ti senti autentica/o nelle tue relazioni?
Ti senti te, riconosciuta o riconosciuto per quello che sei, senza paura del giudizio?

Se invece senti che qualcosa ti frena — la paura di dire la cosa sbagliata, di sembrare idiota, una sensazione di inadeguatezza, un’etichetta che non ti rappresenta — e resti nel gruppo, non stai sbagliando. E non sei una vittima: stai difendendo qualcosa a cui tieni, qualcosa che ti parla di sicurezza: l’appartenenza a quello specifico gruppo.

Un bambino non può scegliere l’autenticità a scapito della relazione, perché non sopravviverebbe. Quindi limita la sua autenticità in favore dell’appartenenza.
Un adulto invece può scegliere se privilegiare l’autenticità o l’appartenenza. E anche qui, è una questione di equilibrio: l’autenticità assoluta può estraniare, ma il privilegiare solo e comunque l’appartenenza, alla lunga, porta alla depressione.
Così dice Gabor Maté, e condivido il suo punto di vista.


Alleggerire per ritrovare equilibrio

Ho dei gruppi in cui non mi sento autentica, e il valore dell’appartenenza non basta a bilanciare il tutto. Che faccio?
Non posso “diventare” autentica, ma posso accorgermi quando non lo sono. E lì entra in gioco l’intelligenza sociale.

Se la mia presenza mi sembra superflua, se non sento di fare alcuna differenza, se ho poca voglia di partecipare o non ci provo nemmeno… forse è il momento di cercare nuove connessioni.
In serenità, non è colpa di nessuno.

Là fuori c’è qualcuno con cui puoi essere te stessa o te stesso.
A volte è una persona che conosci appena, e ti sorprende.

Anche nelle relazioni, serve spazio per far entrare aria nuova.
Mi sono tolta da un sacco di cose, e per riflesso — non voluto — sono stata anche poco sui social network.


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