Training-on-the-job, ruoli aziendali, trasformazioni: un bilancio personale
Nella mia vita lavorativa ho maturato molte competenze trasversali. Di competenze verticali… poche… e recenti.
Usando una metafora, ho iniziato a fare anche immersioni subacquee dopo una vita di solo snorkeling.
Quando avevo vent’anni mi dicevano che non avevo tempo, che il cervello si deteriorava giorno dopo giorno, impoverendosi di neuroni e capacità. A quarant’anni ho imparato che il cervello è plastico, si adatta e si ripara, che se ne sa ancora molto poco e che le persone possono continuare a formarsi e imparare tutta la vita.
Cambia il “come”, cambia il modo di assimilare i contenuti e di ricordare. La minaccia di un inesorabile conto alla rovescia dei neuroni almeno si ridimensiona, e anche un bel po’.
La mia formazione, dopo liceo e università, è stata un self-training-on-the-job.
Solita storia da micro-impresa… ho iniziato l’attività facendo davvero di tutto, perché sapevo davvero fare poco.
Poi ho iniziato a definire un mio spazio di crescita utile all’azienda, delimitato da attitudini, collegamenti (anche vaghi) agli studi, e anche dal fatto che magari nessun altro lo voleva fare… spesso tra soci ci si divide soprattutto le “pesche”. Nota: con tutti i significati simbolici e pubblicitari che questo frutto si è preso e si piglia tuttora, io adotto l’accezione emiliano-romagnola di “impiccio, fregatura, una rottura di maroni da cui uscire”.
I ruoli ricoperti nel tempo sono stati trasversali, caratterizzati da una sostanziale assenza di verticalità, sempre in versione mix: progettista/grafica, grafica/tecnica, tecnica/commerciale, grafica/installatrice…
A seconda dei progetti, dei clienti, e dei chiari di luna, in azienda ci siamo inventati e reinventati per portare avanti il nostro progetto di business. Dico “nostro” perché c’ero io e c’erano i miei soci, anche loro nella giostra dei ruoli e delle professioni trasversali, chi più chi meno…
A parte l’amministrazione.
Quella sempre mia, dalla notte dei tempi. Un ambito aziendale poco conteso, c’è da dire… gli amministrativi hanno fama di essere isterici, così come gli ingegneri di essere sociopatici, i grafici emotivi, gli psicologi affettuosi, e così via… una bella collezione di bias.
Amministrazione: un’autentica sofferenza per qualche persona, ché glielo leggi negli occhi lo sforzo immane di seguire una procedura di cui non capisce il senso. Persone che hanno una loro idea di procedura semplificata che va a sbattere contro i pilastri dell’amministrazione. E cercano di difendere razionalmente le loro azioni invece di adeguarsi all’inevitabile.
La persona che incarna l’ufficio amministrativo, forgiata dal titanio, guarda queste anime semplici come a dirgli: ce la puoi fare, ti vengo anche incontro basta che la smetti di considerarle mie fisime.
Invece normalmente vengono considerate fisime. Tant’è che l’amministrazione è quasi sempre il “cattivo” nel gioco delle relazioni esterne. Essere il cattivo dà un sacco di soddisfazioni, puoi prenderci gusto. Molti lo vivono male, vogliono essere i buoni nella storia, quelli che alla fine vissero sempre felici e contenti, non la strega cattiva fatta a pezzi e buttata nel pozzo.
Con il tempo, ho imparato a conoscere le aziende dai loro amministrativi, penso che il loro comportamento, la loro disponibilità o meno, sia un chiaro riflesso della governance e della collaborazione nel gruppo di lavoro.
L’empatia ha fatto il resto, ne è nata una profonda stima verso gli amministrativi che amano il loro lavoro, e in più di 25 anni di attività ne ho conosciuti parecchi.
Certo, il lavoro amministrativo ti mette a contatto con un umanità molto varia, e l’argomento “denaro” su cui vertono tutte le comunicazioni non è il più facile. Parlare di soldi è faticoso per molte persone, e non solo quando devono pagare. Anche essere pagati, fare un prezzo, è un ostacolo, lo vedi dal tono delle comunicazioni il livello di disagio nel chiedere soldi e rimborsi.
Il lavoro amministrativo a volte è un labirinto, alla fine mi dà la soddisfazione della pulizia, quando tutto torna.
Non è un’attività creativa, non è che qualcosa deve essere per forza creativo per guadagnarsi rispetto, anche di questo, parliamone. A me dell’amministrazione piace proprio l’ordine, l’incasellamento, la precisione, che soddisfa la mia parte analitica, pignola, controllante. Lasciando libere da queste zavorre altre parti sognatrici, caotiche e raffazzonate.
Fare amicizia con le proprie parti dà vantaggi enormi.
Nel mio corso di Introduzione al linguaggio visuale, che più che un’introduzione per alcuni è stata un’immersione totale, faccio fare un esercizio, il grafico multivariabile della propria vita lavorativa.
È un esercizio impegnativo, che molti schivano. Forse lo schifano proprio… e non lo fanno.
Nella formazione per gli adulti, i compiti per casa sono suggerimenti, non obblighi, ognuno è grande e vaccinato e decide quanto tempo investire nella propria crescita. Quindi, chi non vuole fare l’esercizio, non lo fa. E va bene così, può sentirsi a disagio, oppure avvertire un senso di fatica, di rischio. Come coach, penso che sia un segnale di difesa da riconoscere e accogliere.
Costringere una persona a fare qualcosa mentre è sulle difensive è un modo per causare stress e non penso che non abbia alcun senso aggiungere stress ad un corpo già impegnato in un comportamento adattivo di sopravvivenza.
Altro che “se lo vuoi lo fai”: la testa ci dice di fare, di darci una mossa e non riusciamo a muoverci, ci sentiamo come con il freno a mano tirato. Non significa che non “vogliamo” agire, significa che corpo e mente non sono allineati e se il corpo non lo permette la mente può dire quello che vuole… farci sentire in colpa… non riusciremo comunque ad allineare intenzione ed esecuzione.
Se non ti senti in uno stato di sicurezza fai fatica a metterti in gioco e questo esercizio è un passaggio sul sé non banale.
Questo è il mio di qualche anno fa, chi ha fatto il corso con me lo conosce bene perché lo mostro ogni volta. Sono passati 7 anni e si vede, quando mi sentirò pronta ne farò la versione aggiornata.
È verità assoluta? Non lo so. Diciamo che rappresenta in modo veritiero e corretto la mia vita lavorativa, attraverso le valutazioni che ho fatto io, attraverso le mie percezioni, che alla fin fine sono l’unica cosa che determina il mio modo di vivere e le possibilità che mi do.
C’è chi lo vede come un Curriculum Visuale.
Io lo vedo come un bilancio personale.