La paura e il cambiamento

Riflessioni sull’onda di letture estive sulla paura, la percezione del pericolo e le marmotte

“Paura. Lezioni di sopravvivenza dalla natura selvaggia”, di Daniel Blumstein, etologo e biologo della conservazione.
È una lettura piacevole, che consiglio. 

È un viaggio attraverso numerosi racconti di vita animale analizzati e studiati attraverso le lenti della paura, di come i meccanismi neurofisiologici  di risposta al pericolo attivino diversi comportamenti, e di come la relazione sociale raffini e selezioni le soluzioni efficaci e adeguate. A partire dalle osservazioni e dalle conclusioni ricavate dai suoi studi su varie tipologie di mammiferi nel mondo, l’autore allarga il campo del suo discorso all’uomo, all’ecologia e al cambiamento climatico, per ipotizzare come la “marmotta che è in noi” (cit) possa gestire il rischio e il cambiamento.

La paura e l’ansia sono risposte adattive, di attivazione di fronte a un pericolo. La risposta del corpo è immediata, non mediata da scelte consapevoli e decisioni razionali perché di fronte al pericolo di vita non c’è tempo per pensare.

Tempo fa mi capitò di aprire una porta e di notare con la coda dell’occhio qualcosa che si muoveva. Fu una frazione di secondo prima che mi ritrovassi a centro metri dalla porta, e a piedi nudi perché nella corsa persi le scarpe senza accorgermene. Ricordo che girai l’angolo di casa, mi fermai in preda alla vertigine e vidi che delle grosse vespe mi avevano inseguita. Non girarono l’angolo, e tornarono indietro. Solo a posteriori riuscii a realizzare che avevo intravisto un nido di vespe, con tanto di vespe intorno. Non riuscii mai a capire invece come le scarpe mi si fossero sfilate dai piedi!

Durante le attività lavorative, così come durante esami di valutazione, in situazioni in cui non potevo scappare a gambe levate, l’adrenalina ha migliorato la mia performance, rendendomi presente, attenta, reattiva. La paura c’era, ma in quantità limitata o per lo meno gestibile dal mio sistema fisiologico, accompagnata da una certa sensazione di ansia iniziale, ma non era panico, quello non aiuta mai. Il panico è straniante, fa perdere aderenza con il proprio corpo, in preda ad una immobilità “soffice” e offuscata, mentre un vortice ti tira giù…

La paura ha tenuto in vita i nostri antenati, se siamo qui a parlarne è anche merito dei nostri parenti fifoni, che non hanno ignorato i segnali di pericolo, hanno fatto scelte costo-beneficio, e ce l’hanno fatta, trovando un bilanciamento tra il correre dei rischi e il restare al sicuro.
La paura è quindi innata? In parte sì. Tutti i primati ad esempio hanno paura dei serpenti. La paura è anche contagiosa. Molte paure sono apprese, derivano dal contesto in cui si nasce e si cresce, dalla cultura che respiriamo, e vengono passate ai figli per via epigenetica, come hanno evidenziato molti studi sul trauma transgenerazionale.

Andando avanti nella lettura del libro, ho trovato molto interessante la riflessione dell’autore sull’uso della paura da parte della politica, sia per procacciarsi seguito e voti, sia per attuare una spinta al cambiamento, ad esempio per contrastare il cambiamento climatico: la paura di un disastro ecologico può agire da motore per cambiare il comportamento umano?
La risposta sembra purtroppo essere no, perché il problema è complesso, percepito come lontano, con un’impatto personale del singolo individuo poco sentito.
Un altro limite all’utilizzo della paura come spinta al cambiamento è anche dato dal fatto che “siamo inclini ad abituarci ai messaggi spaventosi” (cit.), perché il costo di una vigilanza continua è troppo alto: stress, energie buttate, trascuratezza di altri bisogni primari (alimentazione, riproduzione). Il termine tecnico è “abituazione” : se la minaccia rimane elevata a lungo, le persone abbassano la guardia. 

L’ipotesi dell’autore è che innescare un cambiamento usando la paura possa funzionare solo in situazioni lineari, in cui il problema è espresso in modo semplice e la causalità è diretta.


Testi tratti dal libro “Daniel Blumstein, Paura. Lezioni di sopravvivenza dalla natura selvaggia, Raffaello Cortina Editore, 2022

La paura che gli ospedali fossero travolti dall’afflusso di pazienti in condizioni critiche, come è accaduto in Italia nel marzo del 2020, in alcune regioni ha fatto sì che i comportamenti delle persone cambiassero nella fase iniziale della reazione planetaria alla pandemia di Covid-19. Gli operatori sanitari stremati che hanno condiviso con il resto del mondo i loro racconti e le loro immagini hanno personalizzato la crisi sanitaria, stimolando all’azione.

Ho citato questa parte del testo sia perché mi ha colpito vedere l’Italia e il Covid citati come esempio in un testo americano, sia perché mette in evidenza quanto il collegamento tra paura e comportamento abbia funzionato sì ma nella “fase iniziale”, e anche supportato dalla potenza empatica dell’esperienza diretta dei sanitari. Il fatto che al lockdown non corrispondesse subito un cambio netto nella situazione ospedaliera e nel numero dei decessi ha aperto voragini nella percezione di credibilità del provvedimento.

Siamo abituati a fronteggiare problemi semplici, per quelli complessi servono altri strumenti e la paura non aiuta: mentre siamo incastrati in stati di sopravvivenza applichiamo risposte adattive, e non abbiamo accesso a capacità di ragionamento complesso, quali scelte posso fare se non quelle che mi garantiscono la vita nell’immediato, quale visione posso avere se ogni mia energia è concentrata sull’arrivare a domani?

La percezione soggettiva di una condizione di pericolo è qualcosa che non è per forza correlato a situazioni oggettive e presenti di pericolo. Posso eliminare tutte le cause e segnali esterni di pericolo: se io non mi sento sicura, se non ho segnali di sicurezza che soverchiano quelli di pericolo, io rimango incastrata nello stato adattivo di attacco/fuga.
Penso sia importante riflettere su quanto sia determinante uno “stato percepito di sicurezza” perché ci sia una spinta al cambiamento e, nel termine coniato dal Persona Empowerment, la “possibilitazione” ad una visione che va oltre il qui-ora.

In ogni fase della vita, in qualsiasi situazione, tutti gli organismi viventi, umani compresi, devono fare scelte di breve e di lungo periodo su come allocare le energie per difendersi o per crescere e riprodursi. In alcuni casi si tratta di scelte consapevoli, ma in altri no. La selezione naturale ha favorito le azioni che hanno permesso agli individui di sopravvivere, riprodursi e lasciare una discendenza. La nostra risposta neurochimica altamente adattiva alla paura si è evoluta per aumentare le probabilità di sopravvivenza. Oggigiorno, tuttavia, fare un respiro profondo e fermarsi un attimo prima di agire talvolta è indispensabile per sopravvivere.

Come esseri umani abituati a considerarci razionali, poniamo molta fiducia nelle nostre capacità di affrontare razionalmente le situazioni. La scienza ci dice che la nostra parte razionale è lenta, pigra, e viene surclassata da automatismi molto più funzionali. Quindi?

La Teoria Polivagale ci dice che non possiamo controllare la nostra neurocezione, la serie di segnali registrati dal sistema nervoso autonomo che danno origine alla percezione e quindi alla storia (rappresentazione mentale) che ci raccontiamo e che guida il nostro comportamento.
Ci dice però che possiamo allenarci a conoscere il linguaggio del nostro corpo per dare un contesto alle percezioni. Questa semplice attenzione alla nostra risposta fisiologica ci permette di mettere un po’ di tempo e un po’ di spazio tra noi e gli automatismi, e di raccontarci storie anche molto diverse da quelle che siamo abituati a vedere, cambiando il nostro comportamento.

Riconoscere la risposta biologica alla base dei nostri comportamenti è un modo per vederli attraverso un nuovo punto di vista, quello della risposta fisiologica verso la sopravvivenza che, insieme alla relazione sociale, è e resta il nostro imperativo biologico.

Riscoprendo un po’ la marmotta che è in noi.


Letture:

Daniel Blumstein, Paura. Lezioni di sopravvivenza dalla natura selvaggia, Raffaello Cortina Editore
Massimo Bruscaglioni, Persona Empowerment, Franco Angeli
Daniel Kahnemann, Pensieri lenti e veloci, Mondadori Editore
Stephen Porges, La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza, Giovanni Fioriti Editore

La paura e il cambiamento

La marmotta dal ventre giallo, una specie americana, inizia a mostrare sintomi da stress da calore quando la temperatura ambientale raggiunge i 20 °C. (cit. wikiwand)

Anche se la mia tolleranza al calore è un po’ più alta (di poco), mi sento molto vicina alla marmotta in questo momento!

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