Questa non è una piramide

di Maslow e del mistero della piramide 

Anche senza conoscere chi è Maslow, è difficile non essere incappati nella sua “piramide”, che poi sua non è (spoiler). La trovi ad ogni angolo, del web e della carta stampata.

Sono tra quelle persone che conoscono superficialmente il pensiero di Maslow, per sentito dire, e la famosa piramide non ha mai attirato la mia attenzione. Finché durante un corso, parlando del triangolo come forma semplice, collegata al concetto di cambiamento e di pericolo… insomma, parlavo di triangoli e una ragazza domanda: 

– …e la Piramide di Maslow, allora?…

– … bella domanda, non lo so perché Maslow ha pensato di tradurre visualmente la sua teoria in forma di piramide.

Che poi, piramide… di solito è un triangolo che viene comunque chiamato piramide. Non è la stessa cosa. Sono precisina? Può essere. 

Questa non è una piramide

Triangolo o piramide, il mistero rimane. Perché tradurre una teoria dedicata alla soddisfazione personale e alla motivazione in una forma così rigida, una matrice a compartimenti stagni?
Non bastassero le linee di divisione tra i livelli, ci si mette anche il colore per separare meglio.

E allora che cosa è successo? Curiosando un po’ in giro, ho trovato un contributo utile in un blog italiano, che affronta il tema dell’uso e delle origini della piramide, e condivide il link a una intervista fatta ad un gruppo di studiosi di Maslow.


L’intervista, pubblicata su Scientific American, dipana un bel po’ la vicenda partendo da un presupposto preciso: non è stato Abraham Maslow a disegnare la piramide. Per approfondire l’argomento, viene citato un articolo, sempre degli stessi studiosi, Triangulating Maslow’s Hierarchy of Needs: The Construction of Management Studies’ Famous Pyramid, che non solo esplora la nascita della piramide, ma anche introduce riflessioni interessanti sulla responsabilità nella formazione e nella propagazione di semplificazioni e distorsioni, argomento ampliato in un libro degli stessi autori, A New History of Management. (cfr. referenze in fondo pagina).

Dalle letture, emerge che:

Maslow non ha disegnato la piramide, l’ha vista e non gli piaceva per nulla (1950-1960)

Una traduzione visuale della Teoria di Maslow, la Gerarchia dei Bisogni, appare la prima volta nel 1957 come una scala a gradini alti che vede, dal basso verso l’alto, un omino vestito in modo formale che, nell’ordine, mangia a tavola, tiene una lancia in mano, tiene famiglia (moglie, bimbo, bimba), tiene un gagliardetto con vari riconoscimenti, e, ultimo gradino, pianta una bandiera americana riprendendo l’iconografia della Raising the Flag on Iwo JimaPiù americano di così non ce n’è!

Questa rappresentazione non ha avuto fortuna.

Nel 1960 la piramide appare per la prima volta in un articolo di argomento economico dal titolo How money motivates men, di C. D. McDermid.  Le etichette-bisogno che l’autore attribuisce ai livelli riflettono l’adattamento della teoria di Maslow attuato da Douglas Mc Gregor, economista e grande sostenitore di Maslow, che ha introdotto il mondo del business management alla Teoria, e ne è stato ispirato per lo sviluppo di lavori successivi (Teoria X e Y) e pubblicazioni. 

Maslow non apprezza particolarmente né le modifiche né la forma visuale, sostiene che ne deriva un’impressione falsificata del suo lavoro, ma, a quanto pare, abbozza… sia perché gli si risolvono un po’ di difficoltà economiche, sia perché riceve i riconoscimenti che i colleghi psicologi gli hanno negato.

La forma a piramide-triangolo entra nella formazione di base dei manager (1970-1980)

In un periodo storico in cui teorie scientifiche applicate alle relazioni umane scarseggiano, le basi scientifiche della Teoria di Maslow fanno gola alle scuole di management e agli editori di manuali, e la piramide piace a tutti: all’editore che vuole innovare la manualistica con qualcosa di concreto e pratico; agli executive manager perché in cima alla gerarchia vedono uno stato avanzato di sviluppo umano (in cui si riconoscono); agli studenti perché la memorizzano facilmente e sta bene nelle presentazioni.

La piramide si porta dietro tanti significati stratificati: completezza, solidità, sacralità… è perfino nelle banconote da 1 dollaro USA… è un modo diffuso per rappresentare le sfide del management e le grandi organizzazioni, non serve un grande passo per vedervi rappresentati anche i lavoratori delle organizzazioni stesse.
Le critiche non mancano, attaccano la Teoria su caratteristiche non pertinenti al contenuto originario (che si è un po’ perso) quanto alla forma visuale (visione rigida, elitaria, generalista, senza attenzione alla diversità…) e contribuiscono alla sua diffusione e radicamento.

La forma piramide non è emersa dal contenuto, anzi.

Il contenuto (la Teoria di Maslow) è stato incastrato in una forma che piaceva, che parlava il linguaggio del mondo del management di quel tempo, e ha perso il senso originario. Sempre facendo riferimento all’articolo citato Triangulating Maslow’s Hierarchy of Needs: The Construction of Management Studies’ Famous Pyramid:

The first problem with Maslow’s Pyramid is that it is plainly wrong, not so much because it did not create it, but because a pyramid – although a good fit for a universal and aspirational theory containing a rigid hierarchy mutually exclusive categories – is a poor representation of Maslow original thesis on motivation.

La piramide offre una forma con livelli rigidamente separati, con un progressione sempre più elitaria, e un punto di arrivo finale nello sviluppo umano.

Maslow did not say that the Hierarchy of Needs is unidirectional, that achieving higher levels makes you a superior being, that once a need is satisfied it no longer affects behavior, or that it applies to all the people in the same way.

(…) he revealed his frustration that organization theorists, including Stein and McGregor, were seeing his theory of human nature as a means to a financial end – short-term profits – rather than the end which he saw, a more enlightened citizenry and society.

Questa non è una piramide

La forma coerente, quella che può tradurre la Teoria nella sua concezione del 1943, sembra quindi essere una forma rettangolare, come una scala.

Una scala a pioli. Perché, secondo Maslow, non solo il movimento tra livelli diversi è continuo e in entrambi i versi (e non un avanzamento a blocchi successivi, una volta completato il livello inferiore), ma soprattutto le persone stanno contemporaneamente su più livelli, più o meno soddisfatti in ciascuno di essi. Esattamente come diceva Maslow.

When one is on a ladder, multiple rungs are occupied by the feet and hands, and other rungs may be leaned on as well. The ladder as thus described is far closer to Maslow’s original thinking.
Moreover, a ladder better denotes movement both up and down the hierarchy, another overlooked feature of Maslow theory.

Nell’articolo non mancano le sollecitazioni a togliere la piramide dai manuali, sostituendola con la scala.

Verso la conclusione, gli autori prendono quella che mi sembra una deriva estrema: basta con ‘sta fissa di dare una forma visibile alle teorie, facciamole studiare davvero, andando alle origini e non ricorrendo a semplificazioni e distorsioni… Il rischio, mettendosi in una scelta tra estremi opposti, è di buttare via il proverbiale bambino con l’acqua sporca.

Per concludere…

Io penso che la forma, se emergente, semplifichi l’approccio al contenuto, non il contenuto in sé.
Se la forma traduce in maniera efficace il contenuto, lo amplifica.
Estrarre l’essenziale e dargli forma è valorizzare un’idea, un pensiero.
Non sempre è facile, il che rende l’esercizio interessante, anzi che superfluo!

Referenze in ordine di approfondimento del tema

Grazie Melania Aiola per la lettura dei brani in lingua inglese ❤️

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